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Come vivremo domani?

Come vivremo domani. Aperta e profetica è la domanda che il curatore, l’architetto libanese Hashim Sarkis, ha scelto prima della pandemia per la 17ma Biennale d’Architettura.
“Come”, sottolinea la necessità di approcci pratici e soluzioni concrete, il “live” sottolinea l’importanza di vivere e non solo transitare su questa Terra mentre la scelta del plurale rappresenta l’importanza della collettività.
Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso – scriveva il poeta inglese John Donne – Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra”.
La campana è suonata e l’uomo deve rispondere.

Il punto di forza di questa Biennale è stata la commistione delle arti e dei mestieri: architetti e ricercatori, scienziati e artisti insieme per rispondere alle fragilità del 21° secolo.
Le minacce pandemiche, il cambiamento climatico e il crescente divario tra lavoro e capitale, ci costringono infatti a ripensare tempo e spazio.
Ma perché proprio l’architettura dovrebbe farsi carico delle sfide di oggi?

L’architetto si divide tra teoria e pratica, coordina destreggiandosi tra competenze diverse ed è sempre connesso all’ambiente circostante.
Il critico britannico John Ruskin aveva definito l’architettura come l’arte “tipicamente politica” e
già il filosofo greco Aristotele insisteva sulla sua capacità di immaginare potenziali modelli per vivere insieme. Oggi, sotto la spinta delle urgenze del nostro tempo sappiamo che serve un nuovo “contratto spaziale”, dobbiamo cioè accordarci per ripensare lo spazio in cui viviamo.

Le cinque aree tematiche della mostra, come è tradizione, sono state allestite negli spazi
dell’Arsenale e al Padiglione Centrale dei Giardini. Hashim Sarkis ha parlato di “scale” perché mettono a fuoco i grandi temi del nostro tempo dalla scala più piccola, quella dell’individuo, a quella più ampia del pianeta arrivando addirittura alle vastità spaziali che lo circondano.

Nella prima sezione, “Among diverse beeings”, si indagano i rapporti in essere.
Ad esempio il gruppo Libertiny ha creato in collaborazione con 60.000 api un busto di Nefertiti.

Questo busto da 46.000 euro della regina Nefertiti chiamata "Eternità" è  stato creato dall'artista Tomáš Libertíny e da 60.000 api

Allo stesso modo The Living prosegue con la linea del design naturale realizzando un ambiente sia per
microbi che esseri umani, Studio Pearson and Charlesworth invece si distacca completamente immaginando un futuro ultra tecnologico dove saremo costretti a potenziarci fisicamente e
chimicamente per rimanere competitivi.

Nel futuro anteriore come nel prossimo servono spazi in cui possiamo generosamente vivere insieme: insieme come esseri umani che, nonostante il crescente individualismo, desiderano e necessitano connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e quello reale.
La seconda sezione della Biennale esplora le case che si devono adattare a nuove forme di convivenza.

Comunità e funzionalità sono le parole chiave che accompagnano anche Alison Brooks che con “Home ground” gioca invece con la spazialità dei piani. L’architetta inglese immagina un ipotetico complesso abitativo servendosi di un plastico esploso, gli edifici diventano sistemi semi pubblici interconnessi, mentre le fabbriche private fluttuano in semitrasparenza in una zona “inaccessibile” della città.

Nel climax ascendente il tema delle comunità emergenti ci costringe a ripensare al concetto stesso di città, non più come un sistema verticale che risponde a vecchi schemi classisti ma una serie di realtà sulle stesso piano, indipendenti ma interconnesse e ovviamente inclusive.
È la filosofia dietro il lavoro di Miralles Tagliabue EMBT, lo studio che ha progettato gli appartamenti di Centr’Halle a Parigi: le terrazze sono spazi condivisi, al pian terreno il mercato alimentare è concepito per l’integrazione sociale e sul tetto c’è l’orto condominiale.

17. Mostra Internazionale di Architettura Biennale di Venezia 2021: 5  parole chiave e 5 opere da non perdere - di Maria Teresa Filetici -  presS/Tletter

Un discorso, quello abitativo, che non prescinde i materiali. Un secolo fa il calcestruzzo aveva rivoluzionato l’assetto della casa influenzando la disposizione ma anche la concezione della privacy all’interno dell’ambiente familiare.
I nuovi materiali e le nuove tecnologie spingono anche oggi gli architetti a reinventare le abitazioni, ad esempio sfruttando risorse sintetiche come le fibre di vetro e carbonio.

La simbiosi tra uomo e natura è importante ma spesso è l’equilibrio tra gli esseri umani ad
essere precario
. Proprio di fronte al Padiglione Italia dove finisce l’Arsenale, si stagliava l’opera realizzata con pali di legno grezzo dall’architetto cileno Alejandro Aravena, già curatore dell’edizione del 2016. Un’assemblea per ripristinare il dialogo tra Cileni e Mapuche ma anche per ricordarci l’importanza dello stare insieme.
Aravena ha inserito la domanda posta da Sarkis in un contesto più specifico, la faida che divide la sua terra da secoli, ma gli architetti sono chiamati a ragionare anche su territori in pericolo per motivi diversi.

City to Dust - Studio L A


L’attenzione per la comunità riguarda le persone ma anche gli spazi. La fragile bellezza di Venezia ha ispirato “City to dust”, un’installazione in continua evoluzione sull’impatto negativo del turismo. Sul pavimento in graniglia è raffigurata la mappa cittadina che i visitatori hanno dovuto calpestare per entrare nello spazio successivo causando continue rotture ad ogni passaggio.

Come si può vivere insieme se si è divisi da un confine? È la risposta che cerca di dare la sezione “Oltre i confini”. Non solo quelli nazionali ma anche quelli tra campagna e città, e all’interno di essa.
Ad esempio, lo studio Paola Viganò, cerca di definire la distanza tra la metropoli di oggi e quella futura per cercare di favorire l’integrazione.
Un margine sottile è quello che separa acqua e terra come dimostra Pinar Yoldas immagina un oceano privo di vita nel 2048.

Biennale Architettura 2021 | Pinar Yoldas

Qualcuno potrebbe pensare che l’architettura abbia giocato un ruolo minore in molti dei
contributi della Biennale. In realtà il mondo intero è il nostro spazio vitale e deve essere
preservato.

L’attenzione è rivolta quindi anche al nostro patrimonio naturale in via di estinzione.
Come l’Antartide: un territorio conteso, ricco di risorse naturali ma anche archivio planetario della nostra storia, come sottolinea il lavoro di Giulia Foscari e Unless.

Per quanto insondabili siano questi luoghi, il ruolo dell’architetto è quello di renderci consapevoli
della loro fragilità. Così come l’architettura li ha danneggiati, ora deve proteggerli legando i grandi valori ambientali con quelli interpersonali. Questo è stato l’obiettivo di molti padiglioni, come quello della Danimarca e degli Emirati Arabi che ha anche vinto il Leone d’oro.

Come vivremo domani allora?
Ancora non lo sappiamo ma quel che è certo è dopo questa Biennale gli architetti di tutto il mondo proveranno a rispondere alla domanda di Sarkis ogni giorno.

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